Appunti di pedagogia interculturale sul tema dell'intercultura, anno accademico 2011/2012.
Gli argomenti affrontati sono:
• problemi cruciali della pedagogia interculturale
• concetto di interculturalità
• identità culturale
• le tre prospettive di analisi della pedagogia interculturale
• il multiculturalismo
• il metissaggio
• la cittadinanza multiculturale
• lo statuto giuridico degli immigrati
• deculturazione/deculturizzazione
• trasnazionalismo
• educazione interculturale
• accoglienza ed integrazione
• futuro dell'intercultura
• paura del "miscelamento"
• il modello di Steiner-Khamsy
• snobbismo e parametri "bianchi"
• inculcamento ideologico e i suoi frutti
• educazione popolare: Paulo Freire
• il "da farsi" della pedagogia interculturale
Appunti di pedagogia
interculturale
Appunti di Marianna Tesoriero
Università degli Studi di Messina
Facoltà di Scienze della Comunicazione
Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione
Esame di Pedagogia Interculturale
Docente: Prof. Panarello
Anno Accademico 2011/2012INTR ODUZIONE
È inserita all’interno dei problemi dell’educazione nella contemporaneità in quanto in stretto rapporto
con le problematiche del mutamento sociale e le ibridazioni che nella nostra epoca si determinano con
gli infiniti incroci e scambi culturali. Di fatto, l’intercultura nasce come risposta alla sfida migratoria
degli anni 80 e 90 e mira con una pedagogia che fa da mediano alla riflessione sulle questioni della
diversità delle etnie e delle culture.
Nel campo della didattica, nel nostro paese, per esempio, le iniziative si sono mosse in un duplice
prospettiva, da un lato si mira all’ideazione di strategie atte all’alfabetizzazione, all’accoglienza e
all’individuazione di punti di contatto tra culture e fedi diverse se non opposte, e dall’altro si cerca di
promuovere atteggiamenti corretti per eludere ostacoli, impedire razzismi e scontri, costruendo
dialoghi e ponti tra culture considerate per lungo tempo incomunicabili.
L A QUE ST IONE CRUCIAL E
Uno dei problemi cruciali della pedagogia interculturale rimane quello dell’identità culturale che sulla
base del paese di provenienza marca l’origine dei gruppi, le appartenenze e di conseguenza le
distanze. L’identità costituisce il segnale inequivocabile con cui si tenta di proteggere quel NOI
nazionale da un LOR O estraneo e mal tollerato. Lo testimoniano anche solo alcuni atti linguistici che
alludendo agli ALTR I pongono una barriera che contrappone, allontana e inevitabilmente separa. Il
migrante è quindi così STR ANIER O, diverso, ospite o alieno, e benchè si parli ormai di società
multietniche e multirazziali, gli atteggiamenti nei confronti dei nuovi arrivati rimangono improntati a
un certo scetticismo verso un ideale di società in Melting Pot che misceli culture ed etnie, razze e fedi,
linguaggi e abitudini.
L’impegno della pedagogia interculturale è dunque quello di trovare strategie e soluzioni al problema
degli immigrati per la loro piena integrazione. C iò in termini di sfide, di organizzazione didattica, di
interconnessione del locale al globale, di approccio multidisciplinare che va dall’antropologia alla
sociologia alla filosofia al diritto, in prospettiva di un universalismo che accomuni i popoli in
orizzonti di pace, tolleranza e riconoscimento dei diritti e della dignità umana.
L’intercultura in pedagogia rappresenta uno straordinario esempio di multidisciplinarità. C ome
disciplina la pedagogia interculturale non può astrarsi dalla realtà dei fatti ma piuttosto appoggiarcisi
cogliendo il flusso delle problematiche che la riguardano. L’intercultura applicata alla pedagogia ha il
“compito” di orientarci a capire le ragioni di un’integrazione concepita in funzione di un sistema
sociale, politico, giuridico ma soprattutto morale che in maniera strutturale garantisca i diritti
fondamentali per dar vita ad una cittadinanza MULTIC ULTUR ALE.
IL CONCE T T O DI INT E RCUL T URAL IT A'
Importante è dunque a tali fini acquisire un concetto di interculturalità che diventi il modus strategico
di pensare e operare in quella eterogeneità culturale e sociale, instabile e precaria, che caratterizza
l’epoca storica attuale.
La multidisciplinarità non implica la rinuncia da parte della pedagogia interculturale ad avere una
propria struttura teorica, tale è un discorso frutto dell’incessante e continuo Interpensare, incentrato su
valori educativi, culturali, sociali, legali ed etici. Si contrappone dunque ad ogni idea unilateralista,
assolutamente da abbandonare, piuttosto pone la Paideia ad emblema della nuova era, promuovendo
la cultura nella sua alta espressione formativa e qualitativa, il tutto finalizzato al superamento dei
grandi conflitti, delle indifferenze e delle negligenze che sono in controtendenza con lo sviluppo
dell’umanità, di questa società sovraccarica di drammi, incomprensioni ed umiliazioni.
La questione del porsi il problema della diversità culturale è espressione di un impoverimento per una
civiltà che abbiamo sempre difeso e protetto ma di cui fin troppo spesso se ne infrangono le migliori
regole del vivere e del convivere. La pedagogia resta nel suo obiettivo comunque consapevole che un
multiculturalismo tollerante non si possa automaticamente impiantare nei costumi della gente e che
nessuna ricerca possa trovare la ricetta migliore per favorire la buona convivenza, si pone però il buon
proposito di cercare di smontare tutti quegli stereotipi, tutti i peggiori fantasmi circa l’alterità sulle
culture più povere, i disprezzi, il razzismo e la xenofobia.
In definitiva, la pedagogia interculturale intende promuovere il dibattito intellettuale e morale attorno
ai principi dell’integrazione e della convivenza nelle nuove società multiculturali. Il quadro generale
nel quale deve operare è sconfortante: antiche forme di rabbia compaiono ad oggi sollecitando
sostanziali distanziamenti dalle nuove etnie, capovolgendo i paradigmi interpretativi con cui i valori e
i principi dell’integrazione sono pensati, tanto da portare Michael Walzer ad accontentarsi di una
“approssimativa uguaglianza tra i gruppi”.
La nostra modernità tra pigrizia e indolenza esalta contrasti ed intolleranze cancellando la sua storia
ma soprattutto la sua cultura più antica, quella della generosità cordiale e ospitale dei greci verso la
gente straniera. C iò che oggi in realtà viviamo sono grandi conflitti sociali ed internazionali che vanno
man mano ad intaccare le istituzioni morali e culturali proprie di una società. Nasce l’esigenza di
cercare nuove regole di amicizia tra culture diverse e lontane.
L’intercultura si pone questo obiettivo ma i processi di integrazione sono lenti e faticosi poiché
l’integrazione include un noi che riguarda il nostro modo di sentire, percepire, immaginare e
accogliere. A tal proposito bisognerà smontare innanzitutto la nostra mentalità più solida, la maniera
stessa di ragionare che impiega inemovibili pregiudizi impiegati per contrastare o negare dignità e
riconoscimento a queste altre specificità culturali.
L E T RE PROSPE T T IVE .
Sono tre le prospettive di analisi che la pedagogia interculturale, da oltre un decennio, considera,
poste contro le sfide epocali di oggi e atte alla ricerca di sintesi creative e coerenti che nelle comuni
riflessioni multidisciplinari riescano a dare soluzioni adeguate e a lungo termine alle problematiche
nate dai movimenti migratori e dall’espansione economica internazionale.
· La prima considera il contesto delle trasformazioni sociali, che stanno cambiando la realtà
delle nostre esperienze intellettuali e morali nonché gli stili comunicativi e il modo di agire
nei confronti dei nuovi arrivati. Questa inedita vicinanza tra culture e identità differenti (un
tempo i villaggi separati garantivano omogeneità) ha prodotto il timore che la diversità possa
diventare una minaccia all’integrità culturale di società tradizionalmente omogenee. Touraine
parla di ossessione identitaria la quale trasforma in straniero l’avversario e porta alla ricerca
di una omogeneità vista come purezza. Dunque la sfida di una sorta di patriottismo verso un
multiculturalismo, alla faccia dell’utopistico universalismo integrato che voleva una sola
umanità. R iaffiorano dunque i vecchi concetti di discrimine culturale e politico che il pensiero
moderno illuminista aveva rigettato propugnando un’uguaglianza per tutti. La diversità
continua ad essere ad oggi mal sopportata in quanto disgregatrice del sentimento di
appartenenza ad una località costituita storicamente sui principi di omogeneità, integrità,
purezza culturale , coesione spirituale e nazionale.
· La seconda è rappresentata dalla tendenza delle società a non voler mettere in discussione i
preesistenti modelli di cultura sociale, in una parola prevale la logica dell’isomorfismo.
Tensioni e complessi rapporti tra mondo globale e locale, tra modernità e tradizione, tra
integrazione e conflitti etnici, tra omogeneità e diversità. La globalizzazione concettualmente
con il suo programma economico ampio ed uniforme ha come potenziale tendenza quella
dell’integrazione umana. Sloterdijk introduce un audace paradosso secondo cui le pareti delle
città stanno diventando sottili e trasparenti, questa globalizzazione favorisce l’inclusione del
globale nel locale e del locale nel globale GLOC AL crea uno spazio in cui l’immunità sarà
difficile da garantire nel senso che le società sono tutte esposte ai medesimi rischi e contagi.
In un mondo in cui locale e globale si contendono gli stessi spazi, gli individui reclamano
uguali diritti, i contatti interculturali diventano più frequenti, tanti sono i paradossi caricaturali
che si vengono a creare, Geertz sostiene che di fronte alla globalizzazione i concetti più
aggreganti di nazione, stato e popolo stanno dissolvendosi. L’interdipendenza economica non
coincide con l’integrazione umana ma tende piuttosto a spezzare in frammenti e ad
evidenziare una etnicità globalmente polverizzata e localmente deterritorializzata.
· La terza prospettiva considera invece le conseguenze che il motore ramificato determina sui
cittadini globalizzati e frammentati, B auman avverte tra gli effetti la riduzione di spazi
pubblici e la crisi dei luoghi di socializzazione dove si elabora la cultura e dove si alimentano
i valori della socialità. Touraine parla appunto di desocializzazione dell’individuo che si
allontana dai rapporti sociali collettivi determinando così il declino della figura dell’attore
sociale. Secondo lo stesso mettere in crisi le principali organizzazioni sociali (scuola e
famiglia) si traduce in mettere in crisi la modernità. Sempre Touraine nella sua analisi vuole
capire come vivere insieme e integrati se alla base la società corre per il favorimento di
obiettivi individuali (con problemi quali la percezione soggettiva dei diritti che diventano
privilegi, l’esistenza di incontri-scontri tra la pluralità di culture, comunità che si arrendono e
si polverizzano, sistemi democratici che non regolano equamente la vita comune).
L’intercultura sostiene la necessità di un progetto formativo sociale e culturale in cui gli
individui imparino a tollerare le differenze introducendo la cultura, la ricerca, la formazione,
una nuova idea di civiltà orientata all’interconnessione, alla mescolanza, all’ibridare e
all’integrazione delle culture. Secondo il sociologo Semprini la crisi avvertita dalle società
moderne è sostanzialmente crisi delle nozioni politiche e filosofiche di cittadinanza,
uguaglianza e giustizia che non reggono di fronte alle questioni aperte e non risolte sulla
diversità culturale, di conseguenza le democrazie liberali che si basano su tali 3 principi ne
avvertono la conseguenza. La soluzione teoricamente consisterebbe nel riuscire a conciliare la
diversità con l’uguaglianza, ma lo scambio, la conciliazione non è mai stato equo, non ha mai
toccato realmente tutti gli individui. C ome estendere il diritto ad essere considerato nella sua
specificità e nelle proprie diversità uguale agli altri?! Il fatto è che l’uguaglianza nella
diversità va inevitabilmente a far corrispondere un beneficio per qualcuno nello sfavore o nel
discrimine verso qualcuno altro. Secondo Agnes Heller uguaglianza ed equità creano una
continua oscillazione tra l’ethos del liberalismo e quello della democrazia che si traduce in
squilibrio tra leggem etica e moralità, questo rappresenta per la stessa il PENDOLO della
modernità, ritiene pertanto che solo il senso della moralità potrà ristabilire l’equilibrio tra
questi due generi di ethos; la moralità ha una priorità onotologica sull’etica e sulla legge e
riesce ad alimentare le varie forme di solidarietà che la legge non sempre può regolare, è
necessario che tutti uomini e donne si assumano le proprie responsabilità morali.
IL MUL T ICUL T URAL ISMO.
Quello che affiora dalla serie di discorsi è che il multiculturalismo, osserva Semprini, implica un vero
e proprio cambio di civilizzazione, orientandosi verso una nuova architettura che corrisponda ad una
diversa concezione dell’umanità contenendosi circa quei presupposti utopistici che ricreino i principi
universalistici. I presupposti dovrebbero prevedere piuttosto reciproca lealtà tra culture diverse sulla
base dei diritti, maturazione degli atteggiamenti di sensibilità verso le differenze, opposizione alla
logica etnocentrica usata dalle comunità, non pensare all’assimilazione ma a prospettive cosmopolite
di interdipendenza e integrazione. Per realizzare una società multiculturale è necessario conciliare
valori tra loro opposti di eguaglianza, equità e differenza adottando modelli interpretativi ed
epistemologie che non siano concepiti usando nozioni e categorie che pregiudicano a priori, dunque
l’intercultura abbandona la partenza da nozioni di diversità e cultura etnica promuovendo piuttosto un
dibattito che data la sua multidisciplinarità e la multiculturalità insita potrebbe anche protrarsi
all’infinito.
Sempre la Heller pone a fondamento del discorso interculturale l’etica e la moralità (ontologicamente
primarie rispetto alla legislazione) poste a fondamento del riconoscimento del valore umano nella sua
dignità, ciò implica già il prefigurarsi di una società multiculutrale. La diversità culturale deve
piuttosto essere una caratterista, non un vincolo. Fondamentale sarà, come sostiene Otto Apel il
dialogo, l’etica del discorso ovvero la pratica del discorso che facilita il transito tra etica e società, i
problemi collettivi saranno così affrontati in una dimensione solidale in cui ricercare le soluzioni
morali e legali. Il risultato vuole essere un’etica comune. L’educazione interculturale segue questo
profilo discorsivo sollecitando a ripensare in termini intersoggettivi e di reciproca consapevolezza il
rapporto con le nuove etnie.
Il concetto di Integrazione solleva numerose ambiguità:
Franca Pinto Minerva osserva come occorra tener presente che spesso dietro ad una politica di
uguaglianza formativa nei confronti dei soggetti immigrati si nascondono in realtà tentazioni di
assimilazione ed omologazione che prevedono l’adeguamento da parte dello straniero al modello
culturale che la scuola esprime sia attraverso i suoi contenuti culturali sia adottando e privilegiando
alcuni valori e comportamenti piuttosto che altri, lo invitano ad Imbiancarsi. Interculturalmente
parlando integrarsi significa invece Integrarsi nelle società ospitanti pur mantenendo da ospiti
ciascuno la propria identità etnica. Propone dunque la fusione dei punti di vista dando vita ad
un’operazione di reciproca cannibbalizzazione.
Le numerose e inestricabili questioni apertesi con la problematica della diversità non si possono
risolvere impiegando strumenti logici e metodologici così come prodotti dal monoculturalismo,
occorre piuttosto adottare ottiche multiculturali o, seguendo il linguaggio dell’antropologo Amselle
LOGIC HE METIC C E.
I presupposti teorici non dovranno basarsi sul confronto tra etnie e culture, la ricerca interculturale
dovrà ritagliarsi uno spazio proprio multiculturale, un contesto adatto che sostenga il metissaggio, uno
spazio per le culture concepito in comune non separandole, tale metissaggio ci invita e sollecita ad
osservare la maniera in cui le culture si modificano senza nemmeno rivolgere poi tanto lo sguardo sul
nodo dell’identità, quanto invece a mostraci le frontiere dove tutto si mescola e tutto cambia: cosa
prova chi arriva, la loro visone del mondo, come vedono il futuro, spostarsi in pratica da un loro
distaccato a un Noi verso Loro.
IL ME T ISSAGGIO
L’intercultura sostiene il metissaggio, un vivere insieme ma disgiunti nella possibilità di mantenere la
propria origine con la possibilità anche a volte di modificare qualcosa, è tutto un processo individuale
di produzione di culture, dipende dalla capacità di adattare la nuova cultura alla propria o l’ipotesi
migliore vuole la creazione di una nuova cultura che ne rappresenti l’incontro. Il metissage autorizza
il cambiamento culturale, dal basso.
C iò a cui si mira è a un MULTIC ULTUR ALISMO, una dimensione in cui le culture nella loro
coesione rinuncino ai propri relativismi orientandosi al rispetto delle questioni etiche e morali.
È innegabile che ormai le nostre società multietniche debbano necessariamente trasformarsi in società
multiculturali per questioni pro-equilibranti, come è già avvenuto in nord America o in Oceania dove
il multiculturalismo è stato istituito come politica ufficiale. C iò significa valutare l’integrazione sulla
base di strumenti interpretativi, norme adeguate, politiche cioè pensate non più solo in termini
d’accoglienza che lasciano insolute le questioni dell’integrazione. Tale infatti rimane incompleta se
non supportata da un sistema sociale e politico che non assicura i diritti. Sotto il profilo della
formazione interculturale non si tratta soltanto di insegnare la tolleranza, la reciprocità o il rispetto per
le culture altrui, ma si pone la necessità di inculcare ed acquisire una nuova forma mentis, cioè dotarsi
di un pensiero innovativo che abbia specificità operative quali riflessione e azione congiunte, con cui
rinvenire e discute sugli argomenti critici per alleggerire convinzioni particolaristiche, pregiudizi,
resistenze, incomprensioni e ambiguità all’interno delle società. Occorre avere la consapevolezza che
il tentativo di sopprimere tali trasformazioni sociali favorisce soltanto il sorgere di conflitti insanabili.
Diventa importante non essere dunque ciechi alle diversità culturali, la neutralità pubblica non
riconosce le differenze e fa prevalere l’ottica dell’assimilazione ovvero l’opposto dei programmi
sociali ed educativi che sappiano riconoscere specificità e valori che l’intercultura promuove.
L A CIT T ADINANZ A MUL T ICUL T URAL E
Il tema dell’inclusione conduce direttamente al tema della cittadinanza multiculturale che implica
uguale trattamento per tutte le etnie conviventi. Tutta la problematicità della questione si riassume
nell’idea di una cittadinanza differenziata che sia cioè in funzione dell’appartenenza di un gruppo. I
nodi che a tal proposito si presentano sono numerosi ed intricatissimi:
· Il primo nodo che salta agli occhi è quello della compatibilità culturale, come cioè conciliare
differenti concezioni morali e religiose facenti capo a culture contrapposte alla nostra?
Alessandra Facchi propone un modello che innanzitutto valuti e consideri la natura
dell’incompatibilità tra le diverse visioni del mondo nel mondo occidentale. Francia e Gran
B retagna sono il suo modello d’esempio. La Francia ha adottato una politica d’inclusione
guidata dall’idea di una società caratterizzata da una omogeneità culturale che si sostituisse
alle culture originarie in quanto l’apparteneza comunitaria potrebbe essere un ostacolo alla
libertà dell’individuo, il modello francese si basa pertanto sull’uguaglianza dei soggetti, e il
diritto di cittadinanza e di partecipazione politica per il soggetto indipendentemente dalle sue
origini, il problema però nasce dal fatto che nel tessuto della società gli standard per una
completa integrazione economica, politica e sociale sono ancora troppo alti e ciò favorisce
gli autoctoni, il numero di straniere completamente integrati è ancora troppo basso. Questo
francese è un modello apertamente non multiculturale in quanto non va a riconoscere
legittimi trattamenti differenziati in base all’appartenenza di un gruppo. Il modello britannico
invece pone l’accento sull’eguaglianza delle culture dirigendosi verso l’impegno pubblico al
mantenimento delle tradizioni comunitarie, delle specificità culturali ed etniche, tale modello
si dichiara diretto a una armonia razziale e ad un trattamento paritetico delle minoranze. Ogni
“comunità” ha un rappresentante. Tale è una politica che può considerarsi multiculturale, che
protegge e riconosce le natie identità presenti sul territorio britannico. Questo modello ha
però prodotto l’allargamento delle distanze tra comunità riducendo le possibilità di dialogo e
al confronto politico tra i quali non sono i rappresentanti. Vige qui una situazione in cui
l’impegno preso per favorire l’apertura comunitaria sia più finalizzato al controllo sociale
che al miglioramento delle condizione degli immigrati. Tale modello ha finito per dare
maggiore potere ai gruppi maggioritari, il che ha accentuato le differenze.
· Un altro nodo spinoso nasce quando i gruppi etnici stranieri chiedono di diventare cittadini
dei paesi in cui ormai risiedono da nani e di ottenere il riconoscimento delle loro culture
ossia avere il diritto al mantenimento dello loro tradizioni identitarie. I timori verso le
esperienze che la differenza dei modelli culturali inevitabilmente provocherebbe aumentano,
sussiste la paura del declino dell’autonomia della nazione, dello sgretolamento del tessuto
normativo delle società occidentali. C ome risposta sono nate comunità blindate contro gli
invasori per proteggere il proprio particolarismo e impedire strane miscele pluriculturali che
intaccherebbero l’integrità di un paese.
· Un’altra questione riguarda l’origine di identità rizomatiche ovvero lo sviluppo sotterraneo di
una rete invisibile di rapporti di fedeltà con le patrie di origine e la sudditanza ai vari capi
carismatici di paesi che disprezzano dichiaratamente l’occidente.
Perché allora, si chiedono in molti, riconoscere diritti a persone che continuano a osservare regole di
paesi lontani dal mondo occidentale a cui si chiede di dare ospitalità a coloro che contravvengono le
sue regole? Perché accogliere le richieste di coloro i quali non vogliono aprirsi al pluralismo e
all’integrazione? Secondo Gabriella Turnaturi l’attenzione va spostata più sul piano culturale che su
quello politico in quanto i problemi che nascono all’interno delle società non hanno a che fare con
l’uguaglianza bensì con la cultura, la Turnaturi si riferisce ai problemi della comunicazione ai
linguaggi, alle incomprensioni reciproche, che vanno poi ad influenzare comportamenti e che
comportano una serie di sofferenze in chi non si sente riconosciuto e accettato. Questo perché
l’insieme delle pratiche sociali e relazionali coinvolgono i sentimenti, la stima e il rispetto di se,
considerare i cittadini più come persone. Anche li dove le barriere legali sono cadute restano quelle
culturali e le forme di discriminazione per le quali la politica può fare ben poco poiché le norme anti-
discriminatorie non bastano perché abbiamo a che fare con percezioni e stima e identità nonché stima
di se, il non sentirsi rappresentati è diverso dal non sentirsi accettati, parlare di solidarietà e di
integrazione a questo punto, non basta. I nostri paesi attualmente recintano ciò che può venir corroso
dalle tradizioni altrui recitando la parte del cortese e cordiale spirito di benvenuto, quasi.
L O ST AT UIT O GIURIDICO DE GL I IMMIGRAT I
Secondo Stephen C astles la posizione degli immigrati è contrassegnata spesso da uno statuto giuridico
specifico: straniero o non cittadino. Il significato sociale della diversità etnica dipende invece dal
significato attribuito ad esso dalle popolazioni e dalle condizioni dei paesi d’accoglienza; laddove i
governi hanno riconosciuto il carattere permanente del trasferimento la tendenza p stata di muoversi
con politiche di assimilazione verso l’accettazione di un certo grado di differenza culturale. Secondo
lo stesso piuttosto che continuare a battersi per una omogeneità legata al mito dell’unità politica
bisognerebbe considerare il fatto che un eventuale cambiamento in multiculturalismo potrebbe avere
risultati positivi. Le politiche di assimilazione vogliono che gli immigrati non diventino cittadini ma
compartecipino alla cultura dominante dato che le sfide nelle società multiculturali sono le stesse che
vengono percepite come minacce dalle identità nazionali. Il multiculturalismo origina incertezze,
perplessità e atteggiamenti di riluttanza per questo, sostiene Turnaturi, occorre orientarsi al
riconoscimento dell’altro partendo dal rispetto della persona.